INTRODUZIONE STORICA
Già nel 1943 è chiaro a tutte le forze militari in campo che la Seconda Guerra Mondiale sta volgendo a favore delle Forze Alleate. Germania e Italia continuano ad essere sconfitte sui campi di battaglia e soprattutto nel nostro paese i dubbi su una guerra “lontana”, che costa privazioni e sacrifici, diventano sempre più diffusi fra il popolo e nelle classi dirigenti. Questa sfiducia è nota ai vertici politici tedeschi che decidono quindi di inviare nel maggio del ‘43 alcune divisioni di militari tedeschi in tutta la penisola, per affiancare le nostre truppe nella difesa dei confini in vista di un imminente sbarco Alleato ma anche per controllare le manovre degli italiani che si temeva si sarebbero arresi agli angloamericani.
Le truppe inglesi e americane intanto si avvicinano alle coste italiane, dopo aver sconfitto le forze dell’Asse in Africa, forti di un arsenale militare imponente e della sicurezza dei vincitori. Il 10 luglio del 1943 lo sbarco in Sicilia avviene in modo improvviso e in poco più di un mese l’isola è occupata: i militari italiani si arrendono e le truppe tedesche, le uniche ad opporsi all’avanzata alleata, sono costrette a ritirarsi in Calabria.
LA SITUAZIONE ITALIANA
Nel frattempo Mussolini è stato sfiduciato, deposto e arrestato (25 luglio 1943) e il nuovo governo, con a capo il generale Badoglio, inizia segretamente le trattative per arrendersi agli Alleati e firmare l’armistizio. Allo stesso tempo, per non insospettire i tedeschi, si annuncia il proseguimento della guerra a fianco di Berlino. La Germania però non si fida delle rassicurazioni italiane e già dal 26 luglio intensifica l’invio di divisioni corazzate, paracadutisti, fanteria che proseguono anche in agosto non senza le proteste del governo Italiano che si sente invaso. Contemporaneamente gli Alleati bombardano pesantemente tutta la Penisola, cercando di colpire gli insediamenti industriali, i mezzi di comunicazione e mettere in difficoltà le forze nemiche. I danni saranno ingenti e le perdite maggiori interesseranno soprattutto i civili italiani.
La resa militare incondizionata italiana viene infine firmata il 3 settembre e annunciata pubblicamente l’8 settembre 1943. Contestualmente il Governo, il Re e la famiglia reale e i più alti vertici politici e militari italiani si preparano a lasciare la capitale, spaventati dalla possibile reazione tedesca. L’Abruzzo è tristemente al centro di queste vicende, poiché Vittorio Emanuele III e il suo seguito riparano prima presso il Castello di Crecchio e poi si imbarcano dal porto di Ortona verso Brindisi.
In Abruzzo avviene anche la liberazione di Mussolini che si trovava agli arresti in un albergo di Campo Imperatore: un drappello di uomini scelti fra i militari tedeschi riesce a farlo evadere e lo preleva portandolo in Germania. Spinto dal Hitler, l’ex alleato, dà l’avvio alla nascita di un nuovo Stato fascista nell’Italia del nord, sostanzialmente alle direttive del governo tedesco. Il 23 settembre 1943 Mussolini rientra in Italia e proclama la nasci- ta della “Repubblica Sociale Italiana”.
Il 9 settembre 1943 l’Italia è un Paese allo sbando, senza una guida politica o militare. Hitler utilizza questo vuoto di potere per far confluire rapidamente su suolo italiano migliaia di soldati, di fatto occupandolo militarmente e dichiarandolo “territorio di guerra”. Il comando delle operazioni militari nella parte meridionale della penisola sarà affidato al comandante Kesserling.
Le conseguenze di questa occupazione saranno pesantissime: l’Italia di fatto si troverà a sottostare politicamente alle decisioni dei militari tedeschi, la popolazione sarà costret- ta a collaborare, reclutata in modo coatto per svolgere mansioni lavorative pesanti e la produzione industriale e agricola sarà requisita, armi e mezzi in dotazione al disciolto Esercito regio, saranno confiscati. I militari italiani, senza una guida, cercano di tornare a casa dai vari luoghi in cui sono dislocati, siano essi in Italia o all’estero. In massa vengono arrestati e disarmati dai tedeschi e posti di fronte alla scelta se continuare a combattere per gli ideali nazifascisti oppure essere avviati ai campi di internamento in Germania. La quasi totalità preferì la prigionia, le vessazioni e le atroci condizioni di vita e lavoro alla collaborazione con i tedeschi che ormai erano considerati “il nemico”.
L’Italia pagherà il costo economico e umano di una guerra cui aveva tentato di sottrarsi. Nel frattempo gli Alleati continuano la marcia per la liberazione della penisola da sud, puntando a conquistare prima Roma e poi il Nord per infine giungere al sud della Germania e puntare su Berlino.
Frequenti bombardamenti si abbattono sul territorio italiano, da Nord a Sud, mentre le operazioni militari alleate di terra e di mare sono vittoriose nonostante le resistenze dei Tedeschi. Truppe americane e britanniche procedono parallelamente lungo i due versanti della penisola italiana, giungendo rapidamente nelle regioni centrali, laddove l’Italia si restringe, si arrocca sugli Appennini e Roma sembra vicina ed espugnabile.
In Abruzzo opera principalmente l’VIII Armata che conta divisioni provenienti da tutto il Commonwealth (Regno Unito, Nuova Zelanda, Canada, India) e che viene comandato dal Generale Montgomery. Si tratta di decine di migliaia di uomini ottimamente equipaggiati e sostenuti da un apparato imponente che fornisce senza alcun risparmio mezzi o rifornimenti ma che ha bisogno di tempo per muoversi lungo la Penisola.
LA LINEA GUSTAV
Le truppe tedesche tengono testa agli Alleati, nonostante l’inferiorità numerica e di mezzi a disposizione, impegnandosi in una “ritirata combattuta” che ha il compito di rallentare il più possibile l’avanzare delle truppe di liberazione e dare tempo alle retrovie di organizzarsi. L’avvicinarsi dell’inverno e l’incedere delle truppe angloamericane verso la capitale, fa propendere i vertici militari tedeschi verso una strategia di difesa che prevedesse la fortificazione del territorio abruzzese sfruttandone la naturale conformazione montuosa e impervia per rallentare il più possibile l’avanzata alleata.
Dal fiume Sangro al fiume Garigliano, tagliando idealmente a metà l’Italia, si lavora alacremente per realizzare la LINEA GUSTAV.
Fra settembre e ottobre 1943 i militari germanici che fino ad allora avevano fatto delle sporadiche apparizioni nei piccoli paesi o cittadine abruzzesi, si installano ovunque requisendo le abitazioni più signorili o strategicamente rilevanti, razziando tutto ciò di cui necessitano (derrate alimentari, mezzi di trasporto, carburante, armi) e reclutando, pena la fucilazione, le popolazioni locali per svolgere il lavoro di fortificazione, scavare trincee e postazioni per l’artiglieria. Con l’evolversi della guerra, si ordina lo sfollamento dei paesi per non ostacolare le manovre militari.
La maggior parte degli abitanti dei paesi coinvolti si dimostrano riluttanti a lasciare le proprie abitazioni e i propri residui averi. Tutto ciò che non è stato già razziato dai tedeschi viene murato in qualche sottoscala o nascosto accuratamente. In molti, inoltre, si allontanano durante il giorno, trovando rifugio in casolari di campagna, in grotte o nei boschi, per poi far ritorno a casa propria durante la notte.
Se inizialmente gli occupanti tedeschi sono piuttosto tolleranti con chi decide di non attenersi scrupolosamente agli ordini, con la progressiva avanzata delle truppe britanniche e con l’aumentare della partecipazione italiana agli atti di sabotaggio e guerriglia, gli animi si esacerbano e iniziano le rappresaglie contro la popolazione, le fucilazioni sommarie, gli eccidi.
Gli atti di rivolta contro l’occupazione tedesca del resto non mancano fin dall’inizio. La Banda Palombaro, costituitasi a Chieti ma operante fra Palombaro e Fara San Martino già dal settembre 1943, inizialmente si concentra su azioni di sabotaggio e spionaggio passando poi alle azioni di guerriglia. Questo primo nucleo partigiano subirà il contrattacco delle truppe tedesche che fucileranno alcuni patrioti e metteranno in fuga i superstiti. Costoro si riorganizzeranno a Chieti o confluiranno in altre formazioni partigiane che si andavano formando. Sono i primi giorni dell’ottobre 1943, gli stessi in cui a Lanciano si avrà la rivolta armata della popolazione, stremata dalla fame e dai soprusi dei tedeschi. Sarà una parentesi nell’occupazione tedesca della cittadina frentana ma diede un chiaro segnale della tenacia e della volontà degli abruzzesi di ribellarsi e combattere per la propria liberazione.
Le aspirazioni alla libertà degli abruzzesi sono del resto aumentate dalla consapevolezza che gli Alleati stanno conquistando terreno e si avvicinano alla loro regione. Il 2 ottobre sono a Termoli ma l’avanzata verso nord è ostacolata e rallentata dai tedeschi che non cedono facilmente terreno e combattono strenuamente per guadagnare tempo e fortificare più possibile il versante settentrionale del Sangro.
LE BATTAGLIE
Agli inizi di novembre le divisioni al comando del Gen. Montgomery sono già in Abruzzo. L’obiettivo degli Alleati è di espugnare Roma e la conquista dell’Abruzzo è fondamentale per creare un corridoio che possa portare mezzi e uomini a rinforzo della V Armata statunitense impegnata sul fronte laziale dove pure si avrà uno stallo di molte settimane. Mentre una parte degli uomini dell’esercito britannico attacca sulla costa adriatica, altri combattono sulle montagne abruzzesi. Sulla costa le manovre militari sono molto difficoltose: conquistare i territori a sud del fiume Sangro ha necessitato di una decina di giorni, oltrepassarlo e raggiungere la sponda settentrionale si rivela più complicato. I tedeschi hanno fatto saltare tutti i ponti di collegamento fra le due sponde, i ponti ferroviari, distrutto sistematicamente la ferrovia Sangritana (che dalla costa procede verso le montagne abruzzesi percorrendo a ritroso il corso del fiume Sangro). Le precipitazioni abbondanti di quel novembre rendono la corrente più forte e il livello dell’acqua più alto; i ponti costruiti dai genieri britannici vengono spazzati via, le strade divengono fangose e impraticabili, l’aviazione ha visuale limitata da pioggia e nubi. I tedeschi inoltre si sono arroccati sulle colline che dominano il fiume e, da una posizione privilegiata, possono controllare i movimenti degli Alleati.
Questi sono giunti in prossimità del fiume già dall’8 novembre ma prima l’organizzazione delle truppe, poi il maltempo, fanno rimandare l’attacco al 27 novembre quando, sfruttando la notte e l’effetto sorpresa, viene dato l’avvio alla Battaglia del Sangro. I primi giorni si attacca su Mozzagrogna e Santa Maria Imbaro per poi dirigersi verso Fossacesia e il mare ad est, verso Lanciano e Castel Frentano ad ovest.
Le battaglie seguono quindi due vettori: uno verso nord sulla costa, dove si consumerà la sanguinosa Battaglia di Ortona; uno verso il Chietino alla conquista di Orsogna e Guardiagrele.
Sul versante montano, i presidi tedeschi sono molti e molto ben arroccati. Gli Alleati lasciano che i tedeschi intercettino delle false comunicazioni che designano un prossimo attacco angloamericano nella zona di Alfedena, Roccaraso, Castel di Sangro per distoglie- re l’attenzione sulle manovre militari in corso sulla costa. Le posizioni difensive vengono quindi potenziate e la Linea Gustav in queste zone diventa quasi inespugnabile: sulle alture vengono posti nidi di mitragliatrici per poter contrastare l’avanzata della fanteria alle- ata, vengono scavate trincee, costruiti rifugi e il territorio viene meticolosamente minato.
Ciononostante, alcune cittadine sono liberate all’inizio dell’inverno: Alfedena e Castel di Sangro sono in mano alleata già il 24 novembre 1943. Sorte diversa avranno altri paesi dell’entroterra che saranno evacuati, depredati e poi sistematicamente minati e distrutti: è la tattica della “terra bruciata” perché nessun riparo dev’essere lasciato agli Alleati, nessun bene di consumo che possa ristorarli, nessuna persona che li accolga e possa dar loro informazioni o supporto.
In seguito su questo versante si registra uno stallo: le operazioni sono rese difficili dall’inverno inclemente e nevoso, dalla difficoltà nei rifornimenti e nella turnazione dei mi- litari e anche dalla nuova strategia del comando alleato che ha deciso di concentrare gli sforzi bellici nell’Europa occidentale: la campagna d’Italia passa in secondo piano, si sta preparando lo Sbarco in Normandia. Vengono quindi richiamati uomini, dislocati diversa- mente mezzi e denaro e sulla Linea Gustav gli angloamericani faticano maggiormente.
Gli Alleati non riusciranno ad avanzare ed il fronte si sposterà solo fra fine maggio e inizio giugno del 1944 quando le truppe tedesche si ritireranno spontaneamente dai paesi della Majella e dell’Alto Sangro, dopo la sconfitta nella lunga e sanguinosa Battaglia di Cassino che segna il definitivo sfondamento della Linea Gustav.
Nel giugno 1944 tutto il territorio abruzzese è liberato. I paesi sono per la maggior parte ridotti in macerie e spesso quando le truppe alleate vi entrano trovano solo rovine e la popolazione che lentamente rientra dallo sfollamento, ridotti allo stremo dalla fame e dai soprusi. Trovano però anche la gioia di un popolo che è stato liberato e che vuole ricostruire.
Lo stesso popolo che nei mesi di occupazione non si è mai arreso all’occupazione tedesca ma che ha cercato di contrastarla il più possibile con la resistenza passiva, con atti di sabotaggio e in alcuni casi con azioni di guerriglia vera e propria. Gli Alleati sono stati spesso supportati dalla popolazione locale nelle operazioni militari: molti uomini, perlopiù giovani, si offrono spontaneamente per aiutare gli angloamericani a combattere nei luoghi in cui soldati tedeschi ancora hanno un presidio. Si offrono di guidarli, di imbracciare le armi con loro, di essere in prima linea.
LA BRIGATA MAJELLA
Emblematica è la storia della Brigata Majella il cui primo nucleo si costituisce al castello di Casoli, dove il comando alleato si è installato per dirigere meglio le operazioni sul versante montano. Alcuni sono intellettuali che vogliono combattere per la causa democratica, altri sono semplici cittadini di ogni estrazione sociale che lottano invece per la libertà e per difendere il loro territorio. A guida di questi volontari sarà l’avvocato Ettore Troilo che intratterrà trattative con il Maggiore Wigram, in comando nella base alleata di Casoli, che accetterà di schierare degli italiani in ausilio alle truppe britanniche.
Il coraggio e la dedizione dei volontari della Brigata Majella conquisterà l’ammirazione e la fiducia del comando alleato e diventerà leggendario: molte furono le richieste di entrare nel Corpo Volontari della Majella da parte non solo di giovani abruzzesi. Man mano infatti che questo gruppo di straordinari partigiani prosegue accanto agli Alleati verso il Nord liberando le Marche, l’Emilia Romagna, il Veneto, altri uomini delle zone liberate si uniscono al gruppo originario di combattenti.
La formazione del Corpo Volontari della Majella si scioglie nell’estate del 1945 a Brisighella, cittadina che la Brigata ha liberato combattendo da sola, con una cerimonia ufficiale. È l’unica formazione partigiana decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
IL FRONTE ABRUZZESE
L’Abruzzo ospita nei primi anni ‘40 anche diversi campi di internamento per cittadini di nazioni ostili (Francia, Gran Bretagna, Polonia), ebrei, detenuti politici, slavi e persone sgradite al fascismo.
Sono 15 dislocati nelle 4 province, scelte dal regime a causa della conformazione geografica della regione, essenzialmente montuosa e dotata di strade dalla difficile percorrenza, e per la popolazione poco attenta ai fenomeni politici e sociali. Non si tratta di strutture equiparabili ai lager tedeschi ma più simili a edifici per scontare norme di domicilio coatto o pene detentive.
Lungo la Linea Gustav abruzzese troviamo 2 cittadine che ospitarono campi di internamento, uno a Lanciano (femminile) e uno a Casoli (maschile). In altre cittadine come Paglieta, Castel Frentano, Atessa, Torricella Peligna, Alfedena, Ateleta, Castel di Sangro invece si trovavano strutture atte ad ospitare persone con “obbligo della residenza obbligatoria”, spesso case di privati.
Gli internati inizialmente vivevano in condizioni dure ma non inumane, limitati nella loro libertà di movimento e di espressione ma negli anni si inasprirono sempre di più le condizioni di permanenza nelle strutture a causa del sovraffollamento, delle scarsa igiene e per le poche risorse a disposizione per la gestione e per il sostentamento degli internati, per l’inasprirsi delle leggi razziali.
Alcuni fra gli internati furono infatti condotti nei lager tedeschi, altri furono trasferiti o perirono. Altri resistettero nonostante le sofferenze e riacquistarono la libertà dopo l’armi- stizio e la fuga del governo (8 settembre 1943), quando i campi furono chiusi. Alcuni degli internati liberati si unirono alla lotta partigiana contro i tedeschi.
Una notazione particolare spetta al “Campo 78” a Fonte d’Amore, vicino Sulmona, che ospitò circa tremila militari anglosassoni, provenienti soprattutto dalle operazioni della guerra in Africa. Dopo l’armistizio questi prigionieri fuggirono e cercarono di passare il fronte e ricongiungersi alle truppe alleate che avanzavano dal sud Italia. Tutti i paesi e le case di campagna nascosero i prigionieri che ricevettero aiuto disinteressato dalle popolazioni, nonostante fosse prevista la pena di morte per chi offrisse loro supporto. Molti riuscirono nell’impresa di raggiungere i territori liberati dagli Alleati, in una lunga e pericolosa marcia da Sulmona a Casoli, dove era il comando alleato.
Ogni anno viene ripercorso il tragitto di questa impresa coraggiosa durante i tre giorni del “Sentiero della libertà – FreedomTrail” che, nei giorni a ridosso del 25 aprile, parte da Sulmona e giunge a Casoli tre giorni dopo, interessando le due province abruzzesi di cui narriamo le vicende.